E mo’ sono cavoli

Roberto Beccantini16 settembre 2023

E mo’ sono cavoli. Non tanto per il risultato, che pure è un pugno sul tavolo: Juventus-Lazio 3-1 (occhio: la Lazio, capace di battere il Napoli a Napoli). Per i gol: due Vlahovic e, in mezzo, uno Chiesa. Per un totale, dopo quattro turni, di sette: quattro il serbo, tre Fede. Vlahovic, Chiesa: la coppia che un Don Abbondio a rovescio vorrebbe ostinatamente sposare. L’unico. Alla faccia dei parenti, stretti e non stretti. Due solisti che si dividono un mitra, scrissi. In balia di munizioni vaghe. Ne ho cannate tante, una più una meno. E’ ancora presto, ma ne prendo atto.

Entrambi di destro, i gol di Vlahovic. Molto belli: il primo di volée felpata, da artista; il secondo, figlio di un controllo e un tiro da centravanti matricolato. Di sinistro, il lampo del sodale. I paragoni sono insidiosi, come quei night in cui entri sperando in chissà chi e ti ritrovi al verde. Calma, dunque. Però.

L’ordalia dello Stadium ruota attorno ai fatti della ditta di fatto, alla splendida rete di Luis Alberto (abile a castigare uno sgorbio di Bremer in uscita), al mezzo miracolo di Provedel su Rabiot (sarebbe stato il 3-0) e allo scarabocchio balistico di Weah (sarebbe stato il 4-1). Veniva, Madama, da una settimana tribolata – il caso Pogba, il casino Bonucci – senza però Europa tra i piedi. La Lazio, viceversa, da giorni placidi ma con la Champions già martedì. I confronti Allegri-Sarri sono sempre sfide all’Ok Corral, le dottrine nascoste nelle fondine come pistole fumanti. Morale: per un quarto d’ora, Juventus avanti tutta al guinzaglio di un Locatelli rigenerato e di un McKennie puntuale a suggerire i cambi-campo. Poi, secondo ricetta, ecco l’alta marea diventare minestra, con i cucchiai di Zaccagni e Luis Alberto ad affogarci dentro.

Per concludere: ai vincitori il possesso risultato, agli sconfitti il possesso palla. Fermo restando Immobile: agli arresti domiciliari, indottovi da Bremer e c.

La fionda di Davide

Roberto Beccantini12 settembre 2023

La vince con i nuovi, Spalletti. Frattesi al posto di Tonali sfonda il muro ucraino con due gol in mezz’ora, e in piena dittatura azzurra, a conferma di un timing d’inserimento che il Mancio aveva colto in tempi non sospetti (e Inzaghino, all’Inter, non potrà non liberare). Locatelli al posto di Cristante: regia felpata e pure una traversa, a fronte di un errore in disimpegno sventato da Donnarumma. Raspadori al posto di Immobile: meno ciccia, più dribbling; fino al tiro da 8, poi da 4 (se ne sarà mangiati almeno tre).

Questi siamo, scrissi dopo il mesto pari di Skopje. Questi restiamo, chioso dopo un successo che incerotta la classifica. San Siro (non proprio pieno) e il suo prato spingono la riscossa. Triangoli, ribaltoni da un lato all’altro, pressing: di Frattesi ho detto, aggiungo le sportellate di Zaniolo. Il gol di Yarmolenko nasce sulle ceneri di un mezzo miracolo del Gigio e da uno sgorbio di Dimarco. L’Ucraina, che sabato aveva disarmato gli inglesi, si rintana al limite dell’area, con l’intento di prenderci alle spalle. Le riuscirà poche volte, nel secondo tempo un po’ di più, anche per merito di Mudryk, misteriosamente in panchina per 45’. Mai, però, in flagranza di pericolo.

Se era stato uno scivolone di Sudakov a stappare l’azione che ha demolito l’equilibrio, sono gli errori di mira, la foga e i guanti naif del rustico Buschan a consegnare il risultato alla riffa degli episodi. Gli ingressi di Gnonto e Orsolini non offrono piccozze generose sulle quali cementare la resistenza e, magari, alimentare le offensive. Questi sono.

Il 2-1 ci va persin stretto, ma il destino non c’entra: l’ordalia l’ha risolta un centrocampista, Davide «Golia» Frattesi, così debordante da rimpicciolire addirittura Barella. Non l’attacco. Che rimane il cantiere più traballante. «Lusciano» ci conosce: giù e su, su e giù. Ecco perché il luccichio della pelata sembrava una gran risata.

Grigia la prima

Roberto Beccantini9 settembre 2023

Non si può non ricordare il grande Lucio, anche se attraverso frivole parafrasi. Tu chiamale, se vuoi, delusioni. Oppure: Mi ritorni in mente, Macedonia come sei. A Palermo, il 24 marzo 2022, ci cacciò fuori dai Mondiali. E c’era Mancini. A Skopje, il 9 settembre 2023, ci ha bloccato su un pari che complica la marcia europea. E c’era Spalletti al debutto. Mi ero permesso, alla vigilia, di non invocare svolte clamorose, sul piano tecnico-tattico, vista la settimana scarsa di lavoro e poi perché a tutti c’è un limite: persino ai più bravi. Specialmente se passano da Osimhen e Kvara a Immobile e Zaccagni.

Dignitosa per un tempo, la Nazionale si è sciolta dopo il gol di Ciro in avvio di ripresa: di testa, con un avversario rantolante, su traversa di Barella, fin lì il migliore. Si veniva da un palo di Tonali, da una paratona di Dimitrievski su Cristante, da triangoli venduti come diamanti, da un «rigore» di Politano murato. Con Di Lorenzo e Dimarco che si accentravano: succedeva pure ai tempi di Cabrini e Facchetti, ma facciamo finta di niente.

Piano piano, ammesso che non lo fosse già prima, è tornata la Nazionale di sempre: che tira poco, che segna pochissimo. Zaccagni, timido; Politano, macchinoso: da un suo errore nasceva l’occasione più grossa dei macedoni, sciupata da Miovski. L’ingresso di Zaniolo pareva una pillola di viagra. Pareva. Dall’1-0 in poi, gli azzurri flettevano, Elmas ordinava di provarci e Bardhi, su punizione, s’inventava una parabola che sfuggiva ai radar distratti di Donnarumma.

Raspadori in campo all’89’ altro non era che un giro di roulette. Che fosse un’Italia senza juventini è un dato da bar. Non lo è, invece, l’8° posto nella classifica Fifa rispetto al 68° dei nostri rivali. Martedì, a San Siro, c’è l’Ucraina, fresca di un glorioso 1-1 con gli inglesi. Questi siamo, e «Lusciano» lo sa.